Le grandi parodie disneyane

Paperin furioso


Paperin Furioso

Nell’ambito della produzione disneyana di Luciano Bottaro non si può non parlare delle Grandi Parodie, un genere che si rivelerà, nel corso degli anni, molto congeniale al Maestro di Rapallo: alcune di queste, come “Il Dottor Paperus”, “Paperino e l’isola del Tesoro” o “Paperin Furioso”, sono tra le avventure disneyane più conosciute e lette nel mondo. Una rivisitazione in chiave grottesca delle opere classiche che il mondo Disney dimostra di incoraggiare fin dai primordi del Topolino libretto, con il dantesco (e famosissimo) “Inferno di Topolino” (Topolino 7-12, 1949-1950), di Guido Martina e Angelo Bioletto. Proprio il professore, forte della sua sterminata cultura, rimane in quegli anni pionieristici il motore indiscusso del filone: suoi sono i testi del secondo, e molto più tardo, episodio, “Paperino Don Chisciotte” (tratto dal capolavoro di Miguel de Cervantes, in Topolino 137-139. 1956, con disegni di Pier Lorenzo De Vita) e del terzo, “Paperin di Tarascona” (parodia dell’omonima opera di Alphonse Daudet, in Topolino 156-157, 1957), parodia d’esordio dell’artista rapallese. Una storia che ci consente di apprezzare il tratto che, seppur non ancora pienamente maturo e ispirato in gran parte al modello di Al Taliaferro, all’epoca imperante, è comunque già caratterizzato da uno stile in parte autonomo.

il Dottor Paperus


il Dottor Paperus

Anche nella sua seconda parodia, “Paperino e il Conte di Montecristo” (ispirato al libro di Alexandre Dumas padre, in Topolino 159-160, 1957), è evidente l’influenza dei grandi autori americani: non solo Al Taliaferro e il misconosciuto Carl Barks, ma anche Floyd Gottfredson, che il Maestro di Rapallo ritiene da sempre «il più grande fra i grandi», ispirano il giovane artista soprattutto nei character principali e nello squalo che tenta di mangiarsi il povero Paperino sott’acqua; la quasi totalità delle figure minori, come i poliziotti, i galeotti e l’oste, sono invece inequivocabilmente bottariane.

Una mancanza di uniformità stilistica che non si riscontra nel successivo “Dottor Paperus” (Topolino 188-189, 1958), splendida rivisitazione del Faust di Goethe e del Dottor Faust a fumetti comparso qualche anno prima sul Topolino Giornale, con disegni di Rino Albertarelli e testi di Federico Pedrocchi. Favorito dal clima medioevale del racconto, a lui congeniale vista la sua passione per gli eventi storici, il Maestro si scatena in una serie di tavole memorabili. Fin da subito si capisce che le influenze degli americani non ci sono praticamente più: Paperino e Qui Quo Qua sono inequivocabilmente bottariani, così come il Duca Paperon de’ Paperoni e la Masnada dei Bassotti. La rotondità del tratto, la morbidezza della chinatura e l’attento studio delle ambientazioni ci presentano un autore già ai massimi livelli, e in cui si intuiscono quelle potenzialità che verranno inevitabilmente a galla negli anni a venire.

la prima tavola di Paperin Babà


la prima tavola di
Paperin Babà

Da rimarcare che il soggetto e la sceneggiatura sono, per la prima volta, dello stesso Bottaro: l’autore ricorda infatti di aver consegnato già il 23 gennaio 1956 la trama del “Dottor Paperus” a Mario Gentilini (peraltro già pronta dai tempi del militare), convintosi a pubblicarla solo dopo aver visto due pagine di model-sheet dei personaggi in costume. Al plot, eccellente e maturo, colto e ironico, collabora con alcune integrazioni Carlo Chendi che nel corso degli anni, accanto a produzioni originali, sarebbe più volte intervenuto con contributi talvolta funzionali, altre volte accessori, su molti testi di Bottaro. Il Duca Paperone non è dissimile dal suo discendente, e alcune sue spigolosità, come l’avarizia spinta al paradosso, la virulenza di certi atteggiamenti e il cinismo di fondo, non hanno nulla a che fare con il macchietttismo che troppo spesso caratterizza le storie di Martina. In altre parole, i difetti del vecchio papero sono funzionali alla riuscita della storia, così come i profili degli altri personaggi rispondono in toto alle necessità narrative, in un gioco di contrasti e aderenze ai corrispettivi moderni che costituiscono un aspetto essenziale del “Paperus”.

Una trama che è anche attraversata da una verve comica spesso incontenibile, dove lo humour trasforma i contorni cruenti della lotta in siparietti fatti da martellate sulle zampe, da morsi e seggiolate, o da situazioni assurde, in cui le spade sono sorrette da sostegni e i guerrieri leggono o annusano fiori. Vignette che ricordano il clima delle Mattaglie, quei divertissement in cui Bottaro ama dispiegare tutto il suo spirito ironico e che costituiscono una delle massime espressioni della sua arte. E, per concludere, va sottolineato anche l’aspetto magico della storia, a cui si può ricondurre la parte assegnata a quella strega Nocciola che Barks aveva usato, per subito abbandonare, nella sua famosa “Trick or Treat” e che l’artista ligure aveva già recuperato in “Paperino e l’aspirapolvere fatato” (Albi d’Oro 13, 1956). La fattucchiera, che in questo contesto è la longa manus di un Mefistofele assai simile a quello disegnato da Albertarelli, diventerà in seguito protagonista di storie memorabili.

la prima tavola di Paperiadela prima tavola di Paperiade

la prima tavola di Paperiade

La successiva parodia segna invece un ritorno alle esperienze precedenti: “Paperiade” (Topolino 202-204, 1959), infatti, non è un episodio in costume, ma costruita su una trama, sempre di Martina, che è solo ispirata all’omerica Iliade, visibilmente inferiore al “Paperus”. La storia è comunque gradevole e il disegno si mantiene sempre su livelli dignitosi, trovando anche attimi di notevole qualità, a partire dalla prima tavola, con Paperino in vesti omeriche e le inquietanti maschere teatrali di Paperone e Gastone. Una particolare citazione meritano poi le vignette in cui Paperino è accorciato da un colpo di chiave inglese ricevuto sul capo, primo esempio di quelle deformazioni che diventeranno uno dei suoi marchi di fabbrica.

Un autentico gioiello è invece “Paperino e l’isola del Tesoro” (ispirata al notissimo libro di Robert Louis Stevenson, in Topolino 216-218, 1959), che segna il ritorno dell’artista anche al ruolo di sceneggiatore, una storia ambientata in un’epoca di corsari, espediente che costituirà lo sfondo per tante memorabili avventure disneyane e non. Molto ci sarebbe da dire attorno a questa parodia: innanzitutto il disegno ha raggiunto una maturità piena e vigorosa, sorretto com’è da un tratto sicuro e senza sbavature che si esplicita in vignette indimenticabili. Non mancano nemmeno, tra gag esilaranti, alcune punte dal sapore un po’ macabro, come la sciabolata con cui Paperone affetta il naso a un Bassotto.

una tavola del Kid Pampeador


una tavola del
Kid Pampeador

Dopo un discreto “El Kid Pampeador” (su testi ancora di Martina, ispirata all’iberico Poema del mio Cid, in Topolino 219-220, 1959), di cui si ricorda la vignetta-choc della decapitazione di Don Pepé Oco dell’Orinoco e nel quale è evidente il saccheggio di personaggi e ambienti tratti dai cartoni disneyani Pinocchio (1940), Saludos Amigos (1943) e I tre caballeros (1945), Bottaro inanella una pregevole serie di storie, la prima delle quali, “Paperin-Babà” (chiaramente ispirato ad Alì Babà e i quaranta ladroni, in Topolino 273, 1961), trasporta il lettore in un’atmosfera sospesa tra il divertimento puro e la fiaba orientale; vi compare come spalla factotum Ciccio, già coprotagonista in “Paperino il Paladino” (ispirata all’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, in Topolino 247-248, 1960) e ripreso in seguito in “Paperin Furioso” (tratta dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, in Topolino 544-545, 1966). Proprio queste ultime due storie, assieme al “Paperus”, costituiscono il nucleo principale delle parodie medievaleggianti, uno dei due gruppi omogenei di avventure (l’altro è quello d’ispirazione piratesca) in cui si possono riunire le più note parodie bottariane. L’artista tende dunque a unificare tutta la sua opera attraverso un recupero dei comprimari e l’uso di citazioni più o meno evidenti. Nello specifico delle parodie cavalleresche questi elementi sono ancor più palesi: oltre a Ciccio e Nocciola (e, come ovvio, ai Bassotti, Paperone, Qui Quo e Qua, Gastone e Paperina), fanno da elemento ricorrente i paperi-armigeri tutti uguali, il Mago Basilisco e i mostricciattoli inaugurati nel “Dottor Paperus”.

Il “Paladino” e il “Furioso” ci presentano un Bottaro a proprio agio con lo spirito dell’epoca, intento a operare con il lettore un continuo gioco di ammiccamenti non solo alle opere originali ma anche alla realtà quotidiana: vengono così citati Portus Delfini (Portofino) o canzoni in voga in quegli anni, come Volare, Romantica, Non son degno di te, La pappa col pomodoro e ancora la trasmissione televisiva La Fiera dei sogni. Tutti gli elementi tipici del genere parodistico vengono adoperati con abile alternanza: il risultato è una comicità irriverente, amplificata dal disegno ormai assurto, in quegli anni, a paradigma della scuola italiana, e non solo.

la copertina dell'Isola del Tesoro


la copertina dell’Isola del Tesoro

Con il passare degli anni si avverte, in Bottaro, un accenno di stanchezza, dovuto anche al grande lavoro che lo tiene impegnato sul fronte dei suoi character, e a conferma di ciò le sue apparizioni sulle pagine di Topolino diventano sempre più sporadiche. L’epoca d’oro delle parodie sembra così terminata quando, qualche anno dopo, viene pubblicato un breve ciclo salgariano, legato all’ambiente piratesco dei Caraibi. Lo spirito del Maestro non è tuttavia quello di un tempo: si tratta più che altro di episodiche, ancorché gradevoli, rimpatriate. Il ciclo è composto dalle due parti della parodia del Corsaro Nero, “Il Corsaro Paperinero e i Borsari dei Caraibi” (Almanacco Topolino 160, 1970) e “Il Corsaro Paperinero e il Leone di Castiglia” (Almanacco Topolino 163, 1970). Qui assistiamo a un netto cambiamento dei ruoli rispetto alla lontana “Isola del Tesoro” e alla successiva “Paperino e la Nipote del Corsaro Nero” (Topolino 1140-1141, 1977), altra storia salgariana: mentre Paperone dismette le vesti del capitano, per trasformarsi nel governatore di Maracacao, è Paperino ad assumere il ruolo di protagonista. Il parziale discostamento dagli altri racconti pirateschi si spiega facilmente, essendo soggetto e sceneggiatura dei Paperinero dovuti all’opera di Martina: è quindi solo il disegno a conferire un minimo di organicità col resto della produzione dell’artista di Rapallo. È innegabile che la trama complessiva, anche se in taluni punti divertente, non abbia i colpi di genio a cui eravamo abituati.

Nella già ricordata “Nipote del Corsaro Nero”, destinata a rimanere l’ultima parodia interamente firmata da Bottaro, a un disegno sempre efficace corrispondono alcune brillanti trovate, ma è ormai palpabile la disaffezione del Maestro verso il mondo disneyano, dovuta anche ad una serie di incomprensioni con la dirigenza del settimanale. Luciano Bottaro sta infatti maturando il suo distacco dalle vicende di paperi e topi, e si avvia verso un nuovo periodo creativo, in cui il primo posto è ora occupato dalla propria personale produzione: non costituisce perciò una sorpresa il suo totale allontanamento verso la metà degli anni Ottanta. È un vero e proprio decennio sabbatico che avrà termine solo con la clamorosa rentrée fondata sugli strepitosi nuovi capitoli della saga di Rebo e dei Saturniani, ma anche sulla ripresa delle storie medioevale. Un universo che riappare in tutta la sua suggestione nella bella “Paperino e Paperotta” (Topolino 2132-2133, 1996), coadiuvato ai testi da Alberto Autelitano, e, soprattutto, in “Paperino e il seguito della storia” (Topolino 2342, 2000), secondo episodio, anche se non all’altezza del primo, del “Dottor Paperus”: tornano (finalmente) i cavalieri, i mostri e le magie, e riscopriamo nell’autore la voglia di meravigliare e di far sognare ancora dopo oltre mezzo secolo di carriera.

(n.b. tutto il materiale iconografico è )

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