Quest’anno ricordiamo Luciano Bottaro, nel 12° anniversario della sua scomparsa, proponendo un’intervista realizzata da Alberto Cassani, nel 2001 per la pubblicazione Ink.
Lasciamo la parola a Luciano…

Lei è uno dei più prolifici autori di fumetti d’Italia, ma cosa l’ha spinta a lasciare gli studi di architettura per intraprendere questa professione?
Fin da piccolo ho avuto un coinvolgimento in questo mondo immaginario, a partire dal primo albo di Rubino che ho sfogliato quando ancora non avevo compiuto i quattro anni. Però mi sarebbe riuscito difficile immaginare che, un giorno lontano, questo sarebbe stato il mio mestiere e la mia vita.

Quando ha iniziato, si ispirava a qualcuno in particolare?
Non ispirazione diretta vera e propria, solo grande ammirazione per molti autori italiani e stranieri. Citerò per primo Rubino, e poi Angoletta e Craveri tra gli italiani; Opper, Mc Manus, Dirks, Knerr tra gli americani. Per i Disneyani è d’obbligo citare Gottfredson e Barks.

All’inizio della sua carriera ha dato vita ad AROLDO IL BUCANIERE, più tardi ha creato PEPITO. Come mai questa sua passione per i pirati?
Cavernicoli, Pirati, Streghe, Diavoli, Maghi, Alchimisti. Paladini, Cavalieri, ecc… sono sempre stati tra i miei personaggi ispiratori.

Nel 1968 lei ha fondato lo Studio Bierreci insieme a Giorgio Rebuffi e Carlo Chendi. Come è nata l’idea e come lavoravate insieme?
Fin dai primi anni ’50 è di fatto esisitito uno Studio Bottaro, composto inizialmente da me, Guido Scala e Franco Aloisi. Anni dopo si è unito a noi Carlo Chendi. Il mio sogno era quello di creare un Copyright che identificasse le nostre creazioni.
Quando anche Rebuffi ci ha raggiunti in Riviera, ho pensato di fondare uno studio che fosse anche una realtà amministrativa. La sigla Studio Bierreci appare, per la prima volta, sul contratto firmato a Genova con l’AGIS il 18/12/68.
Tale contratto era riferito alla nascita della rivista Redipicche, stampata in italiano e in francese nell’azienda grafica dell’editore Iro Stringa.

Come è arrivato a lavorare per la Disney?
All’epoca c’erano poche prospettive di lavoro nel campo del fumetto comico e al Topolino di Mondadori pagavano discretamente bene. Quando mi sono presentatato a Mario Gentilini, nel 1951, mi fu affidata una sceneggiatura di Guido Martina, che però non portai a termine.

Lei ha realizzatouna delle più belle storie di Paperino Il Dottor Paperus. Ha scelto lei di dedicarsi ai Paperi piuttosto che ai Topi?
Come ho detto, mi era stata affidata una sceneggiatura di Topolino per la quale avevo disegnato solo tre tavole. La prima storia che disegnai era di Paperino e mantenni sempre una preferenza per i paperi come erano visti da Carl Barks, con una specifica preferenza per Paperon de Paperoni. Per ciò che riguarda Topolino personaggio, ho sempre ritenuto ineguagliabile il lavoro di Floyd Gottfredson.

WHISKY&GOGO è una delle serie comiche dalle premesse più originali del fumetto italiano. Ricorda come nacque l’idea?
I due personaggi, con nomi provvisori, erano da tempo in un cassetto. L’occasione per trarli dall’oblio e portarli alla luce si presentò quando un mio collega, al quale avevo affidato una mia sceneggiatura di Pop&Fuzzy, me la riportò dicendo che non se la sentiva di disegnarla. Il quel momento, le Edizioni Alpe mi avevano invitato a studiare una serie western, e io utilizzai la storia rifiutata dal mio collega per iniziare una nuova serie. Proposi varie coppie di nomi, e fra queste fu scelto Whisky&Gogo (i miei nomi preferiti erano Tobia e Giovannone)

Tra l’altro aveva già affrontato a modo suo il mito del west con il SERGENTE BALDO. Cosa la spinse a creare questo personaggio?
Uno dei miei ambienti preferiti è quello delle foreste canadesi e dei grandi laghi. E’ per questo che è nato il Sergente Baldo.

Lei ha, in qualche modo, anticipato le tematiche cosidette del “dopobomba” quando creò i POSTORICI nel 1950. Come le venne l’idea di questi personaggi?
Come ho detto in precedenza, gli uomini delle caverne erano tra i miei eroi preferiti. Nel caotico Aroldo comparivano due bande di cavernicoli. Procedendo da questa esperienza mi divertii a disegnare una banda di rudi omaccioni della preistoria, a cui diedi il nome di Kolossantropi. Questi ultimi uniti a Pinko, Ponko e Pitagora, mi ispirarono una storia che realizzai per la Sagédition di Parigi, che editava da tempo Pepito. Per una questione di lunghezza, questa storia, restò per circa due anni in attesa di pubblicazione. Alla fine venne pubblicata su Pepito Géant, e a me balenò l’idea che questi cavernicoli potessero essere dei sopravvissuti alla guerra atomica.Inizialmente l’idea fu difficile da fare accettare all’ allora boss della casa editrice di Parigi. Ma infine ci riuscii.

Lei ancora realizza una tavola a settimana di PON PON. Come fa a trovare nuove idee per quel personaggio dopo 50 anni?
Da poco ho ripreso Pon Pon (nato nel 1954) e posso dire che, per me, le idee non sono mai state un problema.

Una delle sue creazioni più apprezzate, IL PAESE DELL’ALFABETO, è oggi praticamente introvabile. Come presenterebbe la serie al pubblico che non la conosce?
Fu l’allora direttore del Corriere dei Piccoli, il compianto Luciano Visentin, a propormi una serie nella quale agissero le lettere dell’Alfabeto.
Lui suggeriva di dare a questa serie un’ambientazione western. Questa soluzione mi pareva graficamente difficile e allora decisi di ispirarmi alla grafica del Redipicche. Era la strada giusta!
Una volta trovata la cornice scenografica, il giochetto delle parole filò via senza problemi.

Nelle sue storie per la Disney riprese il personaggio di REBO dalla bella serie di fantascienza “Saturno contro la Terra”. Come mai?
Rebo è la caricatura del protagonista cattivo Saturno contro la Terra, come il Dottor Paperus lo è del Dottor Faust di Albertarelli.
Tutte cose che mi avevano colpito, naturalmente insieme ad altre, nel giornale Topolino del’anteguerra. Nella scia di queste letture di ragazzo, io presentai un progetto di storia che ricreava l’atmosfera emanata dalle pagine di quel periodico. La mia idea non fu accettata perchè ritenuta di problematica realizzazione. Ammesso che si sia salvato dai vari saccheggi, forse, questo progetto riposa ancora oggi nel profondo di qualche cassetto.

Le sue storie sono sempre connotate da una grossa componente surreale. Come mai?
Difficile a dirsi. Agli inizi ho cercato di disegnare molte cose di tipo veristico, ma l’innata propensione al caricaturale e alle deformazioni mi ha sempre impedito di ottenere risultati anche minimamente soddisfacenti. Sono passato quindi, in modo definitivo, al genere comico.

Tra l’altro, alcune sue vignette sembrano dei quadri di Picasso.
Troppo onore!

Lei ha sempre prestato molta attenzione ai dialoghi, non solo alla battuta finale, ma anche allo spessore “letterario” delle parole, rendendo divertenti tutti i balloon, spesso dando dei nomi buffi ai personaggi. Non crede che questo manchi un po’ agli autori di oggi?
I dialoghi sono un elemento molto importante, e ho sempre cercato di caratterizzarli utilizzando elementi dialettali, parlate strane e caricature di lingue straniere. Ciò corrisponde un po’ a quello che avviene nei disegni animati dove le voci azzeccate aggiungono carattere ai personaggi che vengono doppiati

Ho sentito che è in preparazione una serie a cartoni animati tratta dal suo REDIPICCHE. Ce ne parla?
La realizzazione dei disegni animati di Redipicche ha incontrato ogni genere di difficoltà, per cui, al momento, preferisco non parlarne. Vedremo!

C’è un personaggio a cui lei è legato maggiormente?
Mi sono tutti cari come vecchi amici, specialmente Pon Pon perchè mi assomiglia.

Lei è stato all’avanguardia anche con le nuove tecnologie: ha prodotto una sua versione di PINOCCHIO in CD-ROM. Ha in mente progetti simili?
Certamente si: i progetti sono sempre tanti (troppi). Purtroppi per realizzarli c’è bisogno sempre di fare una corsa a ostacoli.

E per quanto riguarda i suoi fumetti, cosa ci riserva il futuro?
Nell’Almanacco di Post, uscito recentemente, ho proposto varie novità, oltre al recupero di personaggi del passato. Mi auguro che il futuro mi riservi la possibilità di portare a termine le cose a cui sto lavorando.